Dognazzi
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Tommaso Dognazzi

Tommaso Dognazzi nasce a Cremona il 20 maggio 1966. Fin da giovanissimo dimostra uno spiccato e fervido interesse per l'arte contemporanea, affascinato a maggior ragione dalle opere dei grandi maestri dell'astrattismo geometrico del '900, che ha anche il privilegio di incontrare e di frequentare (tra i più importanti Bonalumi, Veronesi, Carmi, Perilli, Munari, Nigro, Dorazio, Alviani, Costalonga)

La mia Biografia

Biografia

Tommaso Dognazzi nasce a Cremona il 20 maggio 1966. Fin da giovanissimo dimostra uno spiccato e fervido interesse per l'arte contemporanea, affascinato a maggior ragione dalle opere dei grandi maestri dell'astrattismo geometrico del '900, che ha anche il privilegio di incontrare e di frequentare (tra i più importanti Bonalumi, Veronesi, Carmi, Perilli, Munari, Nigro, Dorazio, Alviani, Costalonga). Tutto ciò grazie alla passione dei propri genitori, intenditori competenti e grandi collezionisti. Le grandi gallerie d'arte diventano un appuntamento costante... siamo nel Gotha dell'astrattismo geometrico italiano e ben presto anche internazionale, in virtù dei successivi incontri con altri straordinari artisti stranieri, quali Le Parc, Demarco, Tornquist, Garcia Rossi, Morishita. E' innegabile il fatto che, proprio vivendo a stretto contatto con le opere di pittori di tale calibro, l'ispirazione concettuale da questi desunta viene presto elaborata e quindi tradotta sulla tela.

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Tommaso Dognazzi nasce a Cremona il 20 maggio 1966. Fin da giovanissimo dimostra uno spiccato e fervido interesse per l'arte contemporanea, affascinato a maggior ragione dalle opere dei grandi maestri dell'astrattismo geometrico del '900, che ha anche il privilegio di incontrare e di frequentare (tra i più importanti Bonalumi, Veronesi, Carmi, Perilli, Munari, Nigro, Dorazio, Alviani, Costalonga). Tutto ciò grazie alla passione dei propri genitori, intenditori competenti e grandi collezionisti. Le grandi gallerie d'arte diventano un appuntamento costante... siamo nel Gotha dell'astrattismo geometrico italiano e ben presto anche internazionale, in virtù dei successivi incontri con altri straordinari artisti stranieri, quali Le Parc, Demarco, Tornquist, Garcia Rossi, Morishita. E' innegabile il fatto che, proprio vivendo a stretto contatto con le opere di pittori di tale calibro, l'ispirazione concettuale da questi desunta viene presto elaborata e quindi tradotta sulla tela.
Il percorso artistico, ormai quasi trentennale, si espleta partendo dalle prime opere, realizzate verso la fine degli anni ottanta, evidentemente ancora legate ai dogmi della razionalità dell'arte concreta, fino a raffinarsi via via nel tempo. L'obbiettivo pittorico è costantemente quello di trovare nuove ispirazioni dialettiche, seguendo un percorso di ricerca personale continuo, che tende ad abbandonare gradualmente le testimonianze della pura composizione geometrica, per arrivare a sostanziarsi, di fatto, in uno scenario più sintetico, maggiormente impegnato nella rappresentazione istantanea di forme di concettualità spaziale e dinamica. Gli ultimi lavori eseguiti si intitolano infatti "Subliminazioni".
Le mostre personali vengono allestite dai primi anni novanta: Dognazzi espone a Milano alla galleria "La Nuova Sfera", a Bologna presso la galleria "Arte Spazio", a Genova alla "San Benigno", a Verona alla "Linea 70", a Brescia alla galleria "San Paolo", a Cremona alla galleria "Il Triangolo", a Milano Marittima nei saloni dell'hotel "Mare Pineta", a Pesaro nella sede del Circolo Mobilieri, a Bellagio con la mostra "Symphonie de couleurs", a Palazzo Flangini a Venezia, alla galleria Browning di Asolo (TV), agli Archivi della Misericordia a Venezia oltre alla presenza nella mostra collettiva “In Forma”, evento collaterale alla 57 Biennale d’arte di Venezia nel 2017. Partecipa anche a numerose esposizioni collettive, conseguendo premi e riconoscimenti. Alcune opere si trovano in permanenza presso prestigiose gallerie, quali lo "Studio F22" di Palazzolo sull'Oglio (BS) e la galleria Orler di Abano Terme (PD).
I cataloghi editi in precedenza sono: "La Forma del Colore", "La Dialettica Ragionata" e "Poetiche Armonie". Attualmente Tommaso Dognazzi vive e lavora a Venezia.

Critiche

Franco Rado (2017)

Franco Rado (2017)

La pittura di Tommaso Dognazzi stupisce subito per la disinvoltura con cui si addentra, sconvolgendola, nella metafisica dello spazio. I segni seguono un percorso che poi devia, si divarica, come se imboccasse un’altra direzione o entrasse in un’altra dimensione, deludendo in qualche modo le legittime aspettative geometrico-lineari...[]

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Ezio Maglia (Aprile 2017)

Ezio Maglia (Aprile 2017)

LE MISTERIOSE E RAFFINATE “SUBLIMINAZIONI” DI TOMMASO DOGNAZZI Fin da ragazzo, da giovanissimo, Tommaso Dognazzi (Cremona, 1966) dava prova di un carattere libero, indipendente e creativo; creativo come i bambini che già nel cuore avvertono la magnificenza dei colori da racchiudere e stendere nell’imitazione della realtà a loro più cara e da...[]

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CarloFrancesco Galli (Bellagio, Marzo 2016)

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SUBLIMINAZIONI Tommy Dognazzi, originario di Cremona, fin da bambino è attratto dall’arte e dalla facoltà di trasmettere positività, che tale attività consente. Per vivere con l’autonomia che lui desidera si trasferisce a Venezia, comincia a lavorare sull’ acqua e la sua pittura trasmette la leggerezza e la profondità che solo questo elemento ti...[]

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Dott. Arch. Luigi Aschedamini (Febbraio 2011)

Dott. Arch. Luigi Aschedamini (Febbraio 2011)

LE VARIAZIONE RITIMICHE DI TOMMASO DOGNAZZI Conosco Tommaso Dognazzi da sempre ed il suo modo di vivere e di rappresentare l’arte mi ha sempre coinvolto in modo intenso. E’ particolarmente emozionante, avendone seguito attentamente la carriera artistica, trovarmi ora nella posizione di scrivere alcune righe relativamente al suo modo di comporre...[]

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Ezio Maglia (Aprile 1995)

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LE CONCLUSE ARMONIE DI TOMMASO DOGNAZZI TRA COLORE E ASTRATTISMO L’astrazione è uno dei problemi della storia dell’arte e, innanzitutto, il problema fondamentale per quanti si avvicinano all’arte contemporanea. Uno degli artisti più difficili da comprendere in questo ambito è certamente l’olandese Piet Mondrian (1872 – 1944). E basta tale...[]

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Carlo Franza (Milano, Giugno 1993)

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LA FORMA DEL COLORE Tenere a battesimo la pittura di un giovane artista è cosa oltremodo affascinante. Il lavoro di Tommaso Dognazzi, cremonese, ma attivo a Milano, da qualche tempo ci informa della sua spiccata ricerca, della ragione e dell'intelligenza che reggono la sua pittura. Non fosse solo che per la capacità di ricavare dalle sue opere una...[]

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Franco Rado (2017)

La pittura di Tommaso Dognazzi stupisce subito per la disinvoltura con cui si addentra, sconvolgendola, nella metafisica dello spazio. I segni seguono un percorso che poi devia, si divarica, come se imboccasse un’altra direzione o entrasse in un’altra dimensione, deludendo in qualche modo le legittime aspettative geometrico-lineari dell’osservatore.

Roland Barthes diceva che la teatralità è il teatro meno il testo.

Se si tolgono le parole da un testo ne rimane la musicalità, il ritmo, i silenzi.  Allo stesso modo, se si toglie la parte figurativa da un dipinto dovrebbe rimanere la pittura pura.

La tela di Dognazzi non è il luogo della finzione intesa come prospettiva ricreata, perché l'intento è andare oltre il visibile.

Il suo linguaggio è subliminale perché non è diretto ai sensi e all’intelletto, ma all’inconscio, il luogo delle emozioni più profonde e arcane.  Il suo è un messaggio che può arrivare senza dover passare attraverso la descrizione o la referenzialitá.

Ciò che conta non è il segno ma gli spazi tra i segni. 

Più che a un codice, la pittura di Tommaso Dognazzi assomiglia alla trascrizione dei silenzi tra una parola e l'altra, del vuoto fra un segno e l’altro, della distanza fra l’intenzione e l’azione. 

L'intento è quello di rappresentare in forma grafica il conflitto fra l'aspettativa e la realtà, fra il percorso e il cammino, fra l’idea pura e la materia.  Chi osserva i quadri di questo artista avvertirà il disagio della scollatura, la delusione della discrepanza, la frustrazione derivante dalla dipartita dell'atteso. 

Il disagio insomma di essere umani.

Ezio Maglia (Aprile 2017)

LE MISTERIOSE E RAFFINATE “SUBLIMINAZIONI” DI TOMMASO DOGNAZZI

Fin da ragazzo, da giovanissimo, Tommaso Dognazzi (Cremona, 1966) dava prova di un carattere libero, indipendente e creativo; creativo come i bambini che già nel cuore avvertono la magnificenza dei colori da racchiudere e stendere nell’imitazione della realtà a loro più cara e da rappresentare con linee e disegni – segni sorprendenti e originali (ricorrente il motivo della casa, dell’albero, delle figure familiari, dei prati e dei cieli). E’ proprio da qui forse nascono le prime esperienze (toccate e sfiorate dal processo artistico) di Tommaso, segnate dalla passione per il disegno-colore. E da qui, col crescere degli anni, i suoi primi dipinti, promettenti e accattivanti, curiosi e già venati da mano sicura e da lucidi processi mentali. E ancora, proprio da qui e da questo i motivi, un mio vivo interesse (non facile solitamente da suscitare in me) che mi ha ostinatamente convinto ad allestire (cosa per me molto rara) una sua mostra personale, nell’aprile 1995, presso la prestigiosa galleria di arte contemporanea “Il Triangolo” di Cremona, diretta con competenza e passione da Maria Rosa Ferrari Romanini, oculata nelle sue scelte e attenta agli artisti contemporanei già affermati o dotati di indubbio talento per intraprendere la via dell’arte in modo professionale. Questo è il titolo del mio sofferto ma partecipato saggio introduttivo in catalogo “Le concluse armonie di Tommy Dognazzi – tra colore e astrattismo”. E il citazionismo dell’olandese Piet Mondrial (1872 – 1944) mi incoraggiò a vedere e rivedere i dipinti di Tommy con l’occhio fisso a quell’arte astratta-concreta o concreta-astratta, che consideravo e considero un punto obbligato per un critico d’arte militante che, con esperienza della pittura antica, vuol inoltrarsi nella difficile arte contemporanea per individuare (coi rischi connessi) i germi del proprio tempo e, magari, per grazia o fortuna, il “nuovo” da scoprire. Ebbene, in quel coraggioso e un po’ ardito scritto, sottolineavo equilibrio, proporzione, calibrata corrispondenza fra forma geometrica e stesura cromatica il rapporto studiato e filtrato tra i segni (linee) e i colori pacati e sereni.

Dopo più di ventanni, osservando gli attuali dipinti di Dognazzi (il Tommy è cresciuto, è diventato Tommaso; la città di residenza non è più la tranquilla e protettiva Cremona, ma la frenetica e insidiosa Venezia….lusinghiera quanto basta per un pittore). Osservando, ho scritto la produzione sua recente, mi chiedo: Sono davvero “concluse quelle armonie giovanili”? Concluse forse si, ma spalancate ad una monocromia candida e pura e lontana dal reale come solo la metafisica indica. Si perdono i colori e si approda al bianco (che pure colore è). Da spazi colorati ci si ritrova di fronte ad una inquietante pagina che attende segni e segnali. In questi spazi chiari colgo inviti a lasciare cenni con essenziale grafia. Questi esiti sorprendenti si impongono nella mostra collettiva veneziana, ospite presso gli Archivi della Misericordia di Venezia (a partire dll’8 maggio e visibile fino a………) e ritenuta lodevole iniziativa concomitante con l’edizione Biennale di Venezia 2017.

Dognazzi si distingue come creatore di luoghi infiniti o intermedi, che sono quelli della possibilità e dell’immaginazione in piena libertà, tendente all’essenzialità e dinamiche percezioni visive. Un percorso, forse tormentato o lento, c’è stato.

Per me, critico, può essere professionalmente gratificante pensare ad un inizio da Max Bill, da Mondrian, da Santomaso……. per incontrarsi con Bernard Aubertin, Alberto Biasi, Enrico Castellani, Agostino Bonalumi………Ma respingo la tentazione di ritenere Dognazzi un pittore lusingato dal citazionismo, anche perché lui stesso ha coniato un vocabolo ”subliminazione” per far intendere la sua attuale concezione filosofica.

L’evoluzione pittorica è in simbiosi con la percezione dello spazio tramite sparizione di colori (luci) e sicure tracce di forme (linee e composizioni), ridotte a pallidi lacerti o ad orme (impronte) appena accennate. In ambito artistico, a mio avviso si può intendere “subliminazione” come una elevazione spirituale e morale, una distanza dallo stato concreto-astratto per avvicinarsi a quello rarefatto, etereo, aeriforme. Le pulsioni (forse sublimate) si orientano verso una meta ideale, mentale e concettuale, in un ambito, però, dove permangono le presenze psico-somatiche. L’impossibilità (o i limiti) di agire e realizzare desiderate azioni sospinge e ispira a creare immagini mentali pure o purificate, ma chiuse gelosamente nell’animo (sub-limen).

Vedo e rivedo ancora i quadri di Tommaso. La sua arte è davvero complessa, pur se tale non sembra all’apparenza. Non si rappresenta; si vuole accendere bagliori concettuali con eleganza e sottigliezza. L’iniziale percezione sollecita a dedicare attenzione a sfumature e variazioni minimali, che sembrano riaffiorare perché nascoste da una specie di velo. O lasciate sul velo stesso come memoriale impronta consunta. Questi segni (queste linee), talvolta allarmanti, (avvertimenti inquietanti?), talvolta balbettanti come il sillabario bambino (quindi dolci e innocenti), mi appaiono come memorie di pallide luci votive che vegliano su chi, calata la sera, passa sull’altra riva per contemplare l’infinito candore ed abbracciare l’infinita pace.

All’orizzonte della maturità dell’artista notiamo risonanze culturali evocative e misteriose (vorremmo dire mistiche), che ripropongono una sorta di “primordialità”, in forme concettualmente più sognate che progettate.

CarloFrancesco Galli (Bellagio, Marzo 2016)

SUBLIMINAZIONI

Tommy Dognazzi, originario di Cremona, fin da bambino è attratto dall’arte e dalla facoltà di trasmettere positività, che tale attività consente. Per vivere con l’autonomia che lui desidera si trasferisce a Venezia, comincia a lavorare sull’ acqua e la sua pittura trasmette la leggerezza e la profondità che solo questo elemento ti può dare. E’ l’essenzialità concettuale, spirituale ed acquatica a rendere particolarmente intrigante la sua produzione artistica. Non mancano comunque gli indizi tangibili della vita spirituale dell’artista che affiorano qua e la in superficie : un qua e la ben definito, scandito dalla regolarità che lo anima e guida. Righe e punti danzano e si trasformano in note sul pentagramma: entro, sopra e sotto. Che siano astri o microscopiche entità, le geometrie di Dognazzi tendono ad un energico equilibrio, animato da una fervente dinamicità insita nell’animo dell’artista. La pittura narrativa, la sperimentazione, l’astrattismo gestuale giungono ad un autentico, mistico lirismo. Indubbiamente le opere di Tommy hanno le particolari caratteristiche geometriche della corrente ma la mia immaginazione mi porta ad intravedervi figure architettoniche, dove convivononun passato remoto e misterioso con un altrettanto lontano ed imprecisabile futuro. Si sono cercati possibili precedenti per l’arte non figurativa, ricorrendo al paragone con l’arte islamica e con la calligrafia orientale , in modo particolare sul ruolo che hanno avuto statue e idoli africani, semplici nei contorni e carichi di energia espressiva.

La mia lunga permanenza nel deserto mi fa affermare che questi paragoni, per quanto interessanti, non bastano a giustificare una svolta radicale, così possiamo meglio comprendere il rifiuto dell’illustrazione a favore del valore del segno, dell’ analisi del colore e di una libertà gestuale conforme a quelle soluzioni di comportamento esistenziale di questo artista.

 

Dott. Arch. Luigi Aschedamini (Febbraio 2011)

LE VARIAZIONE RITIMICHE DI TOMMASO DOGNAZZI

Conosco Tommaso Dognazzi da sempre ed il suo modo di vivere e di rappresentare l’arte mi ha sempre coinvolto in modo intenso. E’ particolarmente emozionante, avendone seguito attentamente la carriera artistica, trovarmi ora nella posizione di scrivere alcune righe relativamente al suo modo di comporre questi nuovi quadri, opportunamente chiamati “variaxion”: ciò da un lato mi onora e mi gratifica e da un altro mi carica di grande responsabilità.  Chi conosce Tommaso sa che tutto questo gli appartiene: ha sempre dipinto trasmettendo emozioni agli uomini comuni, che conducono una vita comune, inserita in modo ordinato nella quotidianità, insomma un pubblico difficilissimo.

È evidente che emozionare in modo non figurativo gente, che per gran parte del proprio tempo vive nell’ordine delle cose, sia molto più arduo che farlo con un pubblico scelto, al quale appartiene una lieve forma di anarchia vissuta, e che attribuisce particolari significati a  qualsiasi segno o forma gli si presenti.

Credo vi sia una differenza significativa tra emozioni reali e grande capacità interpretativa: quello che le opere di Tommaso propongono è proprio questo, emozioni reali stimolate nella sensibilità dell’uomo comune.

Ripensando alle sue prime opere mi viene naturale rievocare le sensazioni che mi venivano trasmesse, forse anche per la mia formazione professionale nel campo dell’architettura, che mi spinge  alla continua ricerca di nuovi stimoli, allo studio di nuove proporzioni, a nuove riletture di forme e volumi.

Il Dognazzi di inizio percorso trasmetteva tutta l’irruenza e l’intensità dell’età con forme geometriche composite che spiegavano questo voler far confluire tutti i campi del vissuto  nello stesso dipinto, alternando e componendo figure morbide e simmetriche a figure geometriche ostiche e pungenti .

La concentrazione e la sovrapposizione delle forme indicava la volontà di fusione del mondo ordinato che comunque ha sempre dovuto vivere almeno in parte, con tutti i sogni e le speranze che un giovane talentuoso affronta, con il timore di non riuscire ad esternare.

Cromaticamente equilibrato e coerente in ogni sua tela, Dognazzi vive questo percorso dialettico e quindi il cambiamento che ne consegue con l’età e la maturità, mantenendo sempre  una cromaticità esplicativa del periodo che attraversa. Alterna quindi colori forti su sfondi forti con grande incisività emozionale, rileggendo gli stati d’animo alterni.

Nel secondo periodo di Dognazzi questa concentrazione di sentimenti e di emozioni si distende garbatamente su sfondi caratterizzati da colori pastello pur mantenendo i temi con figure geometriche sempre precise, peraltro sempre meno in contraddizione.

Le partiture che riguardano lo sfondo rispetto alle figure geometriche si distendono in modo più sereno, aprendosi l’una verso l’altra, significando un equilibrio ritrovato col contesto .

Nel tratto di percorso del periodo attuale Tommaso Dognazzi diventa esponenzialmente propositivo e autore di elegante fusione di spazi e geometrie, quasi a fondare tessuti di sostegno e composizioni cromatiche emblematiche dell’ordine delle cose. Le soluzioni ritmiche, l’interazione progressiva dello spazio, le variazioni diffuse e simultanee, vengono contestualizzate in una dimensione spazio - temporale relativa e infinitamente replicabile, in cui la musicalità delle trame cromatiche determinano l’equilibrio delle opere. Le strutture fisse, pluridirezionali e simmetriche interagiscono sino a finalizzare una prospettiva costruttiva. In questo caso la sua pittura si è evoluta fino a divenire programmata, seriale e altamente risolutiva, ove i segni alternati non giustificano la contrapposizione cromatica ma ne inducono il significato con leggerezza e attenzione.L’eleganza dei tratti continui e ripetitivi esaltano la struttura divenuta ormai parte indispensabile della pittura di Tommaso e la composizione cromatica acquisita diviene emblematica della trasformazione artistica subita nelle differenti fasi di maturazione pittorica.Ritengo la pittura di Dognazzi una forma d’arte che calza perfettamente all’uomo comune per l’insieme delle cose che rappresenta e che trasmette: simbologia, struttura  ed equilibrato cromatismo.

Ezio Maglia (Aprile 1995)

LE CONCLUSE ARMONIE DI TOMMASO DOGNAZZI TRA COLORE E ASTRATTISMO

L’astrazione è uno dei problemi della storia dell’arte e, innanzitutto, il problema fondamentale per quanti si avvicinano all’arte contemporanea.

Uno degli artisti più difficili da comprendere in questo ambito è certamente l’olandese Piet Mondrian (1872 – 1944). E basta tale citazione per indicare il non semplice approccio a quel lavoro artistico (che ha visto schiere di protagonisti, di maestri e allievi, in Europa e pure in Italia) che mette in luce in lento, ma rigoroso passaggio dalla figurazione all’astrazione, come conseguenza di una ricerca sulle forme sempre non pochi giovani.

L’equilibrio, la proporzione, la calibrata corrispondenza tra forma geometrica e stesura cromatica, il rapporto studiato e filtrato tra i segni ed i colori sono gli elementi chiave della ricerca propriamente pittorica di Tommaso Dognazzi.

Il suo breve percorso artistico (è del 1993 la sua prima personale a Milano, presso la Galleria “Nuova Sfera”, con la presentazione di Carlo Franza), che subito dagli esordi ha lasciato completamente alle spalle rappresentazioni realistiche e figurazioni fini e se stesse, gli consente di immettersi, in piena libertà, nel misterioso mondo dell’astrazione con la qualità e la freschezza operativa di chi cerca di appropriarsi di una purezza espressiva, alimentata da una esigenza d’ordine e di rapporti segnici (linee e curve) che producono piacevolezze compositive e suscitano emozioni pure, immediate (non meditate da particolari risvolti psicologici, ma dal “puro” colore).

Nei dipinti di Dognazzi, le stesure di colore, le campiture ben delineate e delimitate danno origine a composizioni percorse dal valore più puro delle sensazioni, espresse in spazi di colore, in accordi di tonalità, di grafie semplici (la retta, il cerchio, frammenti di geometrie…).

In questo modo e con tale intento, Dognazzi costruisce e realizza, anche nei dipinti di piccolo formato, armonie fortemente originali, in cui l’espressione tende ad identificarsi nella necessità di una comunicazione accattivante, ma esatta, precisa, non ambigua. (Da approfondire, semmai, c’è il simbolismo dei colori e delle forme).

Gli elementi della pittura vengono trovati e sviluppati dentro la pittura stessa.

Le acquisizioni dalla realtà sono ormai ben sedimentate e diventano strutture portanti, ripartizioni della superficie, schemi operativi.

Il piano viene definito secondo tagli orizzontali e verticali che possono dare luogo solo a “presenze “ geometriche.

In questo “astrattismo” si riconosce sempre più quell’esigenza di ordine, quel senso di equilibrio, che per un verso sembrano negare la profondità prospettiva per altro si aprono allo spazio interiore, alle interne e silenziose geometrie, immerse in una direzione senza tempo.

Felicità visiva e rigore della ricerca convivono in uno stretto e serrato rapporto dialettico. L’equilibrio si visualizza pittoricamente nella nitida e misurata articolazione degli elementi compositivi e nella sottile sensibilità degli accostamenti cromatici, che il pittore risolve e armonizza in un contrappunto di ritmi precisi e di finissimi accostamenti timbrici, anche con chiaro senso delle cadenze della musica e dei rapporti matematico-algebrici.

Il colore, poi, supporta equilibri, dilata o restringe gli spazi.

Per una essenzializzazione assoluta (ma è questa le direzione in cui si muoverà Dognazzi?) non servono più, come si sa, i colori naturali, ma bastano i colori puri – giallo, rosso e blu – che dialogano con i non colori (nero e bianco, e i grigi che ne derivano).

Siamo nel “clou” della ricerca, Ma, a questo punto, è utile lasciare la parola al pittore che può offrire utili indicazioni per comprendere meglia la sua “poetica” e il pensiero che sta alla base dei suoi dipinti.

D. All'inizio del tuo “far pittura” nell’ambito dell’astrattismo geometrico, c’è stata una scelta, una passione istintiva o la suggestione di maestri illustri? In questo ultimo caso, quali sono i nomi coi quali ti senti in sintonia?

R. Quando ho iniziato a dare concretezza e continuità alla mia espressione artistica, la passione istintiva per tutto ciò che potesse esistere sinteticamente, senza riferimenti mimetici, mi ha guidato verso quel magico campo di esistenza qual è l’astrattismo geometrico.

Non posso senz’altro pensare di aver fatto una scelta, né di essere approdato all’astrattismo lineare dopo una serie di esperienze incerte. La mia arte nasce così, le composizioni sono frutto di un comando mentale attento, rigoroso, matematico: la fantasia interviene sinergicamente con la costante ricerca dell’equilibrio spaziale.

Sono infine convinto che l’affascinante suggestione, provata dinanzi alle opere dei maestri illustri dell’astrattismo, debba essere utilizzata dai giovani pittori per esercitare un’analisi razionale degli assiomi definiti da queste grandi personalità artistiche, al fine di intelligere al meglio il succo di questi importanti messaggi e così dar vita a nuove ricerche sempre più perfezionate.

Al contrario la semplice suggestione rischia di strozzare la personalità dei giovani, oltre che ridurne le capacità inventive.

Per quanto mi riguarda lo stimolo ricevuto nello studio delle opere dei grandi maestri (da Kandinsky a Veronesi, da Mandrian a Munari) è stato utile per generare questo tipo di ragionamento analitico, che quotidianamente cerco di realizzare nel costante impegno della mia ricerca artistica.

D. I tuoi primi quadri si fondavano più su un’emozione o su una meditata costruzione di geometria colorata?

R. In questo caso la bivalenza di interpretazione è, secondo me, d’obbligo: non può esistere una composizione senza l’emozione che l’abbia concepita, e viceversa chi possiede “animo artistico” non può rifiutare il bisogno di estrinsecare quel sentimento istantaneo e di finalizzarlo in un atto concreto.

L’emozione è il significato primordiale del quadro che lei stessa ha generato, il quale a sua volta procura uno stato di emozione per l’interlocutore che vi si pone dinanzi.

La concatenazione di messaggi suggestivi innescata dall’arte astratta (da intendersi in assoluto come arte “pura” in genere) è necessariamente e strutturalmente superiore a quella generata dalla figurazione, costretta scematicamente ad esistere solo se mediata con le esperienze, i ricordi ed i sentimenti del pubblico che la osserva.

D. Come sentivi, in quei primi dipinti, il colore, e come, oggi, in quelli recenti, affronti e vivi la dialettica cromatica?

R. Il colore è senza dubbio l’elemento fondamentale dei miei dipinti, ieri come oggi.

La forma è sì struttura portante del quadro, ma troppo soggetta a variazioni visive, a seconda delle dimensioni della stessa, della profondità che questa si propone di avere, del rapporto ora distaccato, ora imponente, ora compenetrato che le forme hanno tra loro.

Al contrario il colore vive di una propria personalità semantica che ne fa pulsare l’incontrovertibile esistenza. Il colore vive per se stesso, slegato dagli schematismi della forma, dei quali, anzi, ne supera il limite visivamente percettibile.

La forma dipende dal colore, è “gestita” da quest’ultimo, che altresì è caratterizzato da una proprietà che lo assolutizza: l’insostituibilità.

D. Non parliamo del domani, ma dell’oggi. Che cosa ti proponi di raggiungere nella tua ricerca (vedi un approdo verso una sorta di neo figurazione geometrica o verso una maggiore astrazione?) e come intendi connotare il tuo “personale” linguaggio pittorico?

R. L’impegno costante della mia ricerca artistica odierna è rivolto verso il perfezionamento di un ideale costruttivo capace di rappresentare, mediante la massima astrazione, tutto ciò che essenzialmente possiede una precisa e forte valenza matematica.

Sono quindi impegnato nello studio di un sistema capace di superare la staticità didascalica della semplice composizione cromatica, per arrivare a perfezionare la creazione di un “codice genetico” attraverso il quale tutti i miei dipinti riescano ad essere simbioticamente legati tra loro, e possano così vivere due realtà compatibili ma distinte: l’una che ne affermi l’assoluta esistenza come singola entità, fisiologicamente a sé stessa sufficiente, l’altra che ne completi la continuità spaziale all’interno di un più ampio campo di esistenza.

E’ in pratica il tentativo di riprodurre il rapporto che intercorre algebricamente tra i numeri ed i sistemi di questi.

Ecco come sono giunto ai “sistemi di percezione visiva”, cioè le mie ultime creazioni.

Ogni quadro è strumento per poter decodificare il mio personale linguaggio astratto, in cui la linea funge da struttura portante, attorno alla quale si vengono a conformare quelle situazioni simboliche e spaziali che il pubblico può visivamente percepire e successivamente idealizzare. Ogni quadro si propone come una finestra aperta sul mio universo astratto. In questo modo intendo connotare la mia personalità artistica: non credo nel rifiorire di una neo figurazione geometrica. Semplicemente seguo l’arte, l’arte che per sua caratteristica storica deve guardare sempre avanti, sconfessando ogni sorta di restaurazione. Anche l’astrattismo, pur vivendo sull’onda di correnti che l’hanno contraddistinto, non potrà mai più riaffermare le geniali intuizioni di certi grandi capiscuola capaci di segnare profondamente il corso della sua storia (e penso al Bauhaus, al MAC italiano, all’Optical art, al GRAV parigino).

L’obiettivo antico e futuro del’ “arte concreta” è quello di affermarsi in un periodo storico, cercando di percorrerne un altro.

In ultima analisi sono convinto che l’astrattismo non si possa capire solo grazie all’abilità artistica di chi lo propone, ma soprattutto alla predisposizione intuitiva di chi è pronto a coglierne i significati immediati e reconditi al tempo stesso.

Ecco, da queste risposte (che sono in parte dichiarazioni di “poetica” e di progetti di ricerca) si deduce che Dognazzi, rifiutando i sofismi avanguardistici, si affida all’astrazione e non all’immagine come tramite della comunicazione.

Comunicare, infatti, significa possedere i termini di un “linguaggio” che appartiene sia all’artista sia a chi ne entra in rapporto.

Ora, una nuova generazione sta crescendo, come in altri tempi, anche in questo ambito e, crescendo, urta contro le regole dettate dalla “convenzione”. E’ appunto di questa generazione che fa parte Dognazzi e, da come si orienta, mi pare davvero che egli offra tutte le garanzie del caso.

Il pittore vuole individuare, infatti, nella misura intensa dei suoi toni cromatici come delle forme, un orizzonte assoluto di sensi interni, di piacevoli e concluse armonie.

Carlo Franza (Milano, Giugno 1993)

LA FORMA DEL COLORE

Tenere a battesimo la pittura di un giovane artista è cosa oltremodo affascinante. Il lavoro di Tommaso Dognazzi, cremonese, ma attivo a Milano, da qualche tempo ci informa della sua spiccata ricerca, della ragione e dell'intelligenza che reggono la sua pittura.

Non fosse solo che per la capacità di ricavare dalle sue opere una lettura che si affida a paradigmi dell’arte astratto-concreta, che trova ancora una volta un dato essenziale al sistema neo geometrico cui hanno guardato artisti in questi anni recenti.

Ecco un motivo in più per credere alla costruzione di questo impegno poderoso ma lirico che Dognazzi ci presenta.

E certamente sul suo lavoro pesa la cultura osservata nelle mostre e nei quadri dei maggiori artisti che in tale ambito si sono cimentati, ad iniziare da Veronesi, fino a Soldati e a tanti artisti del M.A.C., e non solo per non dimenticare le sue osservazioni e i suoi assiomi evidenziati sulle armonie degli artisti provenienti dalla scuola di Denis René, i parigini internazionalisti che hanno trovato culla in quella sede.

Tutto può aver contribuito alla formazione e all'informazione di Tommaso Dognazzi. Ma veniamo al cuore della sua pittura geometrica. Una sottile invenzione affidata all’anima della geometria, alle forme che si incontrano via via interrogandosi, in un anelito profondo del loro essere. Diceva Soldati che la pittura è una cosa mentale; è la stessa riflessione che mi sprigiona la pittura di Dognazzi, sottile e poetica quanto basta a mettere le forme in forze interagenti.

Cerchi, triangoli, astine, rettangoli e quadrati, mezzelune, forme intersecanti, forme contenute, forme direzionali e dirette, tutti gli elementi dell’opera alla fine sono motivo di conoscenza, poi di creazione e infine di fantasia.

I valori di questa pittura cercano di dare validità magica e poetica e il piano colorato non è una invenzione moderna ma sono i colori che agiscono sul piano sotto influenza dell’artista, con quei rapporti che sono suggeriti da forme e linee. Da qui la costruzione del quadro che è cosa importantissima in Dognazzi, giacché richiede armonia di proporzioni spaziali. Ecco perché taluni lavori, e penso a quello in cui oltre a tutte le altre forme c’è anche un triangolo su fondo nero, hanno un beneficio grazie alla sobrietà e al non cumulo eccessivo di elementi. Il riuscito è in funzione anche di questa simmetria che vuol dire: ogni forma deve vivere col suo peso di colore e in un dato spazio ne quadro.

Ecco il segreto compositivo di Tommaso Dognazzi, la passione vivace del suo movimentare l’opera quel poco da farla girare come un orologio perfetto. Già i costruttivisti e poi i concretisti avevano afferrato queste regole sapienti. Questo giovane non rincorre il rincorribile, enuncia le regole trascritte nel creato, in quelle forme che la geometria piana e solida ci affida alle nostre conoscenze.

E se vi chiedete dov’è il movimento, vi rispondo che basta la staticità, giacché la pittura non è movimento. Questo lo diceva pure Soldati.

La bellezza dell’idea è affidata al coro e ai suoi significati, al coro dei verdi, dei rossi, dei neri, dei blu, dei bianchi, dei gialli, una polifonia di colori primari e complementari, un gioco ragionevole.

Meraviglia non poco trovarsi dinanzi ai lavori di Tommaso Dognazzi con la folgorazione di avvertirne la poesia musicale che questa pittura comanda di leggervi, come se lo spartito composto a due mani si muovesse su un pentagramma tra adagi, piano-andante e mosso.

Le leggi della perfezione, le leggi del colore, le leggi della forma, le leggi già attentamente studiate da quella famosa scuola che è stata la Bahuaus e dove Klee trovò significazione ai suoi motivi scritti con il segno e il colore.

Questa recitazione intelligente, motivata da una seria ricerca, cui il Dognazzi trova ispirazione, si avvia per una strada certa, una vigile esecuzione dalla sera al mattino si colora di albe e tramonti. Dognazzi ci dirà in seguito se la scelta, certamente non casuale, del suo lavoro, gli sia stata suggerita da qualche mago appassionato da tanto rigore.

 

"Chi conosce Tommaso sa che ha sempre dipinto trasmettendo emozioni agli uomini comuni, che conducono una vita comune, inserita in modo ordinato nella quotidianità, insomma, un pubblico difficilissimo".
(Luigi Aschedamini)

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Tecnica

La “tecnica” di un artista si sostanzia al pari di un codice genetico, un campo di esistenza personale in continua evoluzione. Si rappresenta inoltre, pur trovando assonanze e comparazioni, a titolo di elemento di immediata riconoscibilità, il “dna” di un pittore tradotto sulla tela. Ritengo che esistano diverse tipologie di “tecnica”: esiste la tecnica proporzionale all’abilità manuale di ogni artista, la tecnica “sperimentale”, la tecnica desunta dall’impiego dei migliori materiali utilizzati nella realizzazione dell’opera.
La mia esperienza nel campo dell’arte mi convince del fatto di avere storicamente determinato il concetto di “tecnica” parallelamente a quello di “ricerca”, pur sempre in relazione all’idea di “opera d’ingegno”. La ricerca dei materiali, dei legni, delle tele, dei pigmenti. La ricerca di nuove idee, di nuovi concetti, di nuovi significati da rappresentare in bidimensionalità. La ricerca finalizzata alla creazione di nuove emozioni, di antichi interrogativi, di futuri assiomi, da proporre al pubblico.
Ogni opera si autocertifica come “unica”, ognuna un singolo campo di esistenza, compiuto seppur allineato alla medesima filosofia di rappresentazione. Tecnicamente ho assorbito gli insegnamenti dei grandi maestri: Eugenio Carmi mi ha spiegato che ogni quadro nasce e si sviluppa esattamente attraverso quell’unica esperienza, è così e non potrebbe essere diverso. Hugo Demarco mi ha illuminato riguardo al “peso” e alla collocazione di ogni singolo colore all’interno del quadro.
Agostino Bonalumi mi ha reso edotto relativamente al concetto di “punto pivotante”, affermando che ogni opera possiede un punto che funge da fulcro sostanziale, attorno al quale il quadro potrebbe “girare” all’infinito mantenendo il massimo equilibrio. Il consiglio più prezioso concernente la “ricerca” a livello personale ritengo infine essere quello determinato dal maestro Franco Costalonga che osservando i miei ultimi lavori mi ha spronato (e convinto!) a realizzare sulla tela soltanto ed unicamente i concetti che più riescono a soddisfare la mia indole e che tendono a testimoniare il significato artistico delle mie opere, proprio perché esclusivamente figli del mio pensiero.

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